1. Premessa
Per secoli la Campagna Romana e i territori limitrofi, ma anche molte aree delle regioni italiane, sono stati feudi delle grandi famiglie romane, prima definite baronali, e poi principesche. All'unificazione italiana, uno dei massimi problemi era che dette terre erano molto mal coltivate e con un regime idrico che contribuiva a rendere malsana l'aria della stessa città di Roma. A differenza di altre fasi storiche la politica agraria posta in essere dal governo del Regno d'Italia fu abbastanza equilibrato.
Sui vecchi feudi gravavano da tempo immemorabile antichi diritti delle popolazioni locali, inquadrabili negli usi civici, soprattutto di legnatico.
Lo scioglimento di una situazione di coesistenza di proprietà piena con diritti reali minori portò ad attribuire agli abitanti stessi un diritto di riscatto, prima pensato in capo ai comuni, considerati come entità amministrativa, e poi attribuito a nuovi soggetti dalla legge Boselli del 1894, per i quali era stato riesumato l'antichissimo termine di Università Agraria. Anche la successiva legge 1766 del 1927 sulla liquidazione degli usi civici sostanzialmente vide mantenute queste forme di proprietà collettive.
Cambiati i tempi ci si è accorti che le vecchie funzioni sociali di assicurare alle popolazioni umili un bisogno primario com'è la legna per riscaldarsi e per cucinare nei focolari, è da tempo cessata, mentre le proprietà collettive di boschi e di altri terreni possono svolgere un ruolo fondamentale per la conservazione del territorio ed anche un'importante fonte di reddito per il territorio attraverso una accorta utilizzazione turistica o comunque dello svago.
2. Uso Civico
Per Uso Civico si intende il peso imposto su beni immobili a favore della collettività, che usufruisce dei beni e dei frutti che ne derivano.
Questa figura giuridica, nata in epoca alto medioevale, ha visto una sua organica regolazione ai primi del Novecento, quando nacque l'esigenza di consentire ad alcuni soggetti privati di usufruire in piena proprietà di beni che, spesso (ma non sempre), erano demaniali e che erano per l'appunto gravati da tali oneri.
Discende da una tipologia di diritti tendenti a garantire la sopravvivenza o il benessere di una specifica popolazione, sfruttando in modo produttivo aree circoscritte, in tempi in cui il feudatario, su mandato dell'imperatore o papa possedeva non solo le terre, ma anche uomini, cose e animali.
La titolarità dei diritti di uso civico spettava alla intera popolazione, in modo collettivo. L'uso civico nasce come diritto feudale, caratterizzato dall'utilizzo che una determinata collettività locale può fare di determinate aree e si inquadra, quindi nell'ottica tipica di un'economia di sussistenza.
Con l'uso civico di legnatico, ad esempio, i membri di una determinata comunità godevano del diritto di raccogliere legna in un particolare bosco, considerato (impropriamente) come di proprietà collettiva.
Con quello di pascolatico era previsto il pascolo delle greggi e delle mandrie.
In modo analogo funzionavano gli altri usi civici di fungatico (per la raccolta dei funghi) ed erbatico (che permetteva agli allevatori di una determinata collettività di portare al pascolo i propri animali in una determinata zona).
A Vallepietra vi era un uso civico abbastanza raro: gli abitanti erano soliti arrotondare i loro redditi costruendo canestri di corteccia che andavano poi a vendere a Roma. Avevano, perciò l'uso civico dello scortecciamento.
Fenomeno più diffuso in Italia meridionale era invece quello del "livello", ossia l'utilizzo sotto il profilo agricolo di un terreno, mediante il cosiddetto libello, o contratto.
Con il passare del tempo e il mutare dei metodi produttivi in agricoltura questa modalità di uso comune dei beni collettivi è andata via via perdendo d'importanza, anche per le profonde inefficienze ed il disordine organizzativo che creava.
Proprio la particolare attitudine della fattispecie in esame al disordine indirizzò il legislatore nel 1927 a decretare che tutti gli usi civici esistenti in quel momento avrebbero dovuto essere rivendicati e regolarizzati dando la possibilità ai soggetti di affrancarli e, quindi, di trasformare il possesso delle terre di demanio civico o la proprietà gravata da uso civico in piena proprietà assoluta ed esclusiva, istituendo un apposito magistrato detto Commissariato agli usi civici, con lo scopo principale, ma non solo, di liquidare tali usi, nonché col potere di regolare amministrativamente gli usi non liquidati.
Nel 1927 il legislatore mira a distinguere i vari usi civici in due principali categorie: terre di proprietà collettiva (demanio civico) e terre di proprietà privata ma su cui grava un diritto di uso civico in favore della collettività. I proprietari di terre con gravame di uso civico possono togliere tale vincolo, risarcendo la comunità in denaro (liquidazione) o in terra (scorporo). In quest'ultimo caso viene delimitata una porzione del fondo che diventa di proprietà collettiva (demanio civico) dove la comunità esercita il diritto di uso civico. Ad esempio nel comune di Ardea un'intera tenuta, denominata "Banditella" era di vero e proprio demanio civico e nello specifico era destinata ad essere annualmente affittata mediante banditura all'asta (da cui il nome) ed i proventi andavano a beneficio della comunità di Ardea.
Le terre di demanio civico sono state spesso assegnate in quote enfiteutiche ai singoli membri della comunità titolare del diritto, in tal caso, il legislatore aveva previsto che, con una particolare procedura, potessero alienare e riscattare le quote, divenendone pienamente proprietari.
3. Proprietà collettiva
Per proprietà collettiva delle terre si intendono tutte le forme alternative alla piena proprietà privata di esse. In particolare comprendono sia i beni demaniali dello stato e degli altri enti pubblici, sia i beni che sono rimasti in qualche formula tradizionale preesistente alla grande fase di privatizzazione che ha interessato l'Europa tra la fine del settecento e il novecento.
Il complesso dei beni rimasti di proprietà collettiva o gravati tuttora da usi civici ammonta ad alcuni milioni di ettari.
Già all'epoca romana uno dei temi sociali più importanti ed irrisolto era l'immenso patrimonio immobiliare del populus romanus, usurpato dalla classe dominante, e di cui i tribuni della plebe periodicamente richiedevano una distribuzione ai plebei o comunque di sottrarli ai patrizi e ai cavalieri che li avevano usurpati.
La stessa società feudale medioevale aveva concesso ai servi della gleba l'utilizzo sia pure in forma marginale delle terre con una serie di possibilità di fruire di alcuni utilizzi: pascolo, legnatico, spigolatura.
Molte volte gli usi civici, oltre che sulle terre demaniali, gravavano sui beni ecclesiastici.
La donazione di terre ai conventi e alle diocesi era spesso accompagnata dalla costituzione di usi civici a favore della popolazione locale. In altri casi i beni stessi erano concessi in enfiteusi alla popolazione locale. Il dominio eminente era del monastero, ma il dominio utile era dei cittadini, riuniti in una partecipanza.
Fu la rivoluzione francese a far affermare la decadenza di tutto questo complesso sistema, per favorire la piena proprietà privata. Spingeva in questa direzione la necessità di aumentare le produzioni agrarie sotto la spinta dell'aumento della popolazione e si era sentito, in tutti i settori, che il sistema ereditato dal vecchio regime presentava sacche di inefficenza e di immobilismo agrario.
4. La legge 1766 del 1927
Il legislatore nel 1927 era propenso a liquidare gli usi civici mediante un meccanismo di affrancazione per passare a quello della piena proprietà individuale. È tuttavia rimasto al Commissario agli usi civici, a fianco dell'affrancazione degli usi civici minori, quello dell'indicazione dei terreni su quali l'uso civico costituisce una vera proprietà collettiva: sia quelli per uso eslusivo di pascolo e legnatico sia di quelli utilizzabili anche per culture agrarie ed anche sdemaniazzabili.
5. La competenza regionale
La legge 616 del 1977 ha trasferito gli accertamenti sugli usi civici alla competenza regionale, con un passaggio dall’ambito giurisdizionale a quello amministrativo. La tendenza di molte amministrazioni locali è di continuare l'opera di eliminazione di fatto dei residui usi civici specialmente su aree prima pastorali ed ora con vocazione turistica.
6. La Regione Lazio
La Regione Lazio al fine di riordinare condizioni urbanistiche ed edilizie che non potevano trovare una soluzione, ai sensi della legislazione vigente, che consentisse una normalizzazione della situazione generale in materia di utilizzazione del suolo di demanio collettivo, emanava la L.R. 1/1986, integrandola e modificandola con la successiva L.R. 57/1996 ed infine con la L.R. 6/2005. Per una più agevole lettura, il testo revisionato della L.R. 1/1986.
7. Il tentativo di un rilancio dell'istituto
La Legge n. 168 del 27/11/2017 rappresenta un tentativo di rilancio dell'istituto dell’Uso Civico che parte dalla constatazione che la fame di terra da destinare all'agricoltura è cessata da tempo mentre è sorta una nuova coscienza ecologica. Questa legge vuole rappresentare una nuova formula della proprietà collettiva, più ricca di significati e di contenuti che, con l’imposizione del vincolo paesaggistico anche in caso di liquidazione dell’uso civico, potrà permettere una migliore tutela del patrimonio e contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio.
L’Università Agraria - Dominio Collettivo - viene riconosciuto come ordinamento giuridico primario dotato di capacità di autonormazione, sia per l'amministrazione soggettiva e oggettiva, sia per l'amministrazione vincolata e discrezionale; di capacità di gestione del patrimonio naturale, economico e culturale, che fa capo alla base territoriale della proprietà collettiva, considerato come comproprietà inter-generazionale; di personalità giuridica di diritto privato ed autonomia statutaria.
Resta in capo alle Regioni emanare entro dodici mesi (da novembre 2017) dispositivi atti ad esercitare le competenze ad esse attribuite (ma ad oggi, 10/2021,le Regioni non hanno ancora provveduto) In conclusione, i beni dell’ Università Agraria - Dominio Collettivo - costituiscono il patrimonio antico dell'ente collettivo, detto anche patrimonio civico o demanio civico; Il regime giuridico dei beni resta quello dell'inalienabilità, dell'indivisibilità, dell'inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale.
Certamente questa legge ha determinato una svolta e, a questo proposito, vale la pena di leggere qualche riflessione in merito come quelle seguenti:
- Dott. Giorgio Palmieri
- Notaio Massimo d’Ambrosio
- Dott. Alfredo Incollingo
- APRODUC
- Prof. Giuseppe di Genio
8. La Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale con il pronunciamento n. 113/2018, dichiarava incostituzionali i citati dispositivi regionali (Punto 6), di fatto rendendo improponibile portare a soluzione molte situazioni i cui procedimenti risultavano già avviati e generando, paradossalmente dopo 32 anni, incertezze su quelli già conclusi, facendo insorgere anche problemi di differente natura.
9. La Legge n.108 del 29.7.2021-Art. 63 bis
L’ultimo dispositivo, inserito nella Legge 108 del 29/07/2021 di conversione con modificazioni e integrazioni del D.L. 77/2021, il cosiddetto “Decreto governante PNRR”, è rappresentato dall’art. 63 bis.
È un articolo molto controverso che ha generato una enorme serie di discussioni, per i pro e i contro che si sono schierati. Se da una parte potrebbe sembrare che l’attenzione verso il patrimonio naturale e paesaggistico sia scesa di livello, dall’altra questo potrebbe sembrare un provvedimento estremamente circoscritto, tanto da far pensare ad un espediente “ad hoc”.
Evitando di esprimere giudizi trancianti, aspettare che le cose evolvano positivamente è l’unica possibilità che rimane.